25 – 26 – 27 luglio 2025 Festival Alta Felicità
In questi giorni a percorrere le vie della Valle verso Venaus, per condividere l’Alta Felicità di resistere, c’è il mondo.
Si arriva con tutti i mezzi: auto, qualche camper, ma soprattutto treno. Dalla stazione di Susa sono disponibili navette, troppo poche per la folla degli arrivi. E allora si va a piedi, zaino e tenda in spalla, una lunga fila di camminanti sotto il sole a picco, la fatica compensata dalla prospettiva di vivere un’esperienza in cui riconoscersi, sentire come realizzabile il proprio bisogno di stare bene, insieme.
Quest’ anno le presenze sono ancor più numerose rispetto alle edizioni precedenti. Davanti a chi arriva si allarga un mare multicolore di tende sui prati che, nel 2005, conobbero la resistenza contro l’occupazione militare e, l’8 dicembre, furono riconquistati da una marea di popolo: donne, uomini, giovani, anziani saliti in Val Cenischia a rompere i cordoni della polizia e le recinzioni del cantiere messo in piedi in fretta e furia dopo lo sgombero a mano armata del presidio resistente.
In quei giorni c’era la neve. I prati distese gelate, l’aria uno sfarfallio di fiocchi, le notti punteggiate di fuochi.
Oggi la luce incandescente dei giorni di fine luglio. Sui prati appena falciati una tendopoli felice. Le notti sfocate dalle luci psichedeliche dei concerti.
Ma ora come allora la consapevolezza che è festa anche il conflitto, se si è dalla parte degli oppressi che rifiutano la resa e si organizzano per difendersi.
E, il sabato pomeriggio, sono la festa e la lotta ad animare le tre manifestazioni che si dirigono verso la Clarea, San Didero, Susa, i luoghi dove è in atto la devastazione.
Giovani, ragazze, ragazzi, bambini con i genitori, e insieme a loro, chi in questa lotta ha visto scorrere i suoi anni migliori e ne porta il ricordo come un talismano che lo spinge ad esserci, a lottare ancora.
Si cammina verso Susa in allegro disordine, sulla via che porta all’autoporto, nella piana popolata dalle frazioni Traduerurivi e San Giuliano, condannata a morte dal progetto TAV.
Qui le grandi male opere hanno già lasciato il segno: quarant’anni di autostrada, prima i lavori, poi il passaggio di migliaia d TIR giornalieri nella valle ridotta a corridoio di traffico, dove tutto passa e nulla rimane.
Fino agli anni ‘80 questi erano luoghi di orti, vigneti, piccole cascine, qualche villetta con giardino.
Poi vennero il cemento, l’asfalto dei piazzali, il labirinto degli svincoli autostradali e “Annibale 2000”, la mole plumbea e costosissima che, nella propaganda mendace della lobby proponente l’opera, doveva essere il “fiore all’occhiello” della Valle – albergo di lusso, museo d’arte , vetrina delle produzioni locali, prestigioso centro congressi – ed è rimasta un rudere semideserto, inutile e costosissimo.
Ora qui è prevista l’uscita del tunnel TAV transfrontaliero, mentre quella che fu la “pista guida sicura” per l’istruzione alla guida dei veicoli pesanti diventerà il deposito del materiale di scavo: montagne di detriti contenenti amianto, uranio, polveri velenose accumulate a cielo aperto in una zona costantemente spazzata dai venti.
Camminiamo fra due mondi: quel che e rimasto del passato -la fascia di pascoli protetti dai boschi che scendono lungo le pendici montane, qualche mandria, piccoli vivai – e il nuovo “cantiere d’interesse strategico nazionale”, recintato dai betafence irti di filo spinato, l’affilata concertina di fabbricazione israeliana che diventa una trappola mortale per chi vi finisce impigliato.
Ma chi lotta per amore non conosce barriere invalicabili.
Nella luce del pomeriggio che si fa sera, dopo un lancio di fuochi d’artificio, viene aperta una breccia e si entra nel fortino che sembrava inaccessibile.
A praticare il gioioso sabotaggio ci siamo ancora, ci siamo tutti, ciascuno secondo le sue possibilità.
La fresca brezza che annuncia la fine del giorno ci accompagna sulla via del ritorno. Come sempre, si parte e si torna insieme.