Pioveva senza tregua quel giorno su Brest e tu camminavi sorridente raggiante rapita grondante, sotto la pioggia Ricordati Barbara Pioveva senza tregua su Brest e t’ho incontrata in rue de Siam E tu sorridevi, e anch’ io sorridevo Ricordati Barbara Tu che io non conoscevo Tu che non mi conoscevi Ricordati, ricordati comunque di quel giorno non dimenticare Un uomo si riparava sotto un portico e ha gridato il tuo nome Barbara E tu sei corsa incontro a lui sotto la pioggia Grondante rapita raggiante gettandoti tra le sue braccia Ricordati di questo Barbara E non volermene se ti do del tu io do del tu a tutti quelli che amo anche se non li ho visti che una sola volta io do del tu a tutti quelli che si amano Anche se non li conosco Ricordati Barbara, non dimenticare questa pioggia buona e felice sul tuo viso felice su questa città felice questa pioggia sul mare, sull’arsenale sul battello d’ Ouessant Oh Barbara, che cazzata la guerra E cosa sei diventata adesso sotto questa pioggia di ferro di fuoco acciaio e sangue E lui che ti stringeva fra le braccia amorosamente è forse morto disperso o invece vive ancora Oh Barbara piove senza tregua su Brest come pioveva allora Ma non è più cosi e tutto si è guastato È una pioggia di morte desolata e crudele Non è nemmeno più bufera di ferro acciaio sangue ma solamente nuvole che schiattano come cani Come cani che spariscono sul filo dell’acqua a Brest e vanno a imputridire lontano lontano, molto lontano da Brest Dove non c’è più nulla
Ed è sicuramente per amore che ieri ci siamo messi in viaggio verso Aix Luynes, per abbracciare Emilio uscito dal carcere, ma ancora costretto in Francia dall’obbligo di dimora e dalle firme di controllo settimanali. Due pullman, varie auto, donne e uomini non solo della Valle, ma venuti da lontano. Ci siamo ritrovati nel silenzio del primo mattino, col freddo tagliente che annuncia una giornata di sole. Qualcuno fa una rapida puntata al bar per il primo caffè, altri si sistemano a bordo cercando di ritrovare il tepore del sonno interrotto, ma prima ci sono gli abbracci, la gioia di ritrovarsi, la sistemazione di bandiere, zaini e vettovaglie per un il brindisi che non mancherà, come nei momenti memorabili della lotta. Alla frontiera di Claviere passiamo senza problemi, dopo poche domande di rito all’autista : “ Tutti italiani?” “Sì”. “Scopo del viaggio?” “Turismo”. Non so se questa notte altri – non italiani né turisti e con molta meno comodità e fortuna – abbiano cercato di valicare quel confine; se l’hanno fatto, non è stato attraverso la strada asfaltata, ma lungo le impervie vie delle pinete o ai bordi delle piste innevate artificialmente…. Dal finestrino osservo il paesaggio. Il percorso è lo stesso che avevamo fatto in auto , circa un mese fa, per accompagnare la moglie Marinella al primo colloquio con Emilio, ma l’aspetto dei luoghi è mutato. Per la mancanza di precipitazioni tutto appare più polveroso , prati e frutteti assaliti da una grigia aridità, la Durance e, più oltre, il Rodano ridotti a rigagnoli in singolare contrasto con i canali dell’EDF che captano gran parte dell’acqua per convogliarla alle centrali idroelettriche. Anche i paesi, deposta la scintillante veste natalizia, sembrano più tristi, come rattrappiti. Affacciati al lago di Embrun , esercizi commerciali chiusi. Su uno scampolo di terra emersa una minuscola cappelletta e, in mezzo al lago, una vela immobile. Il viaggio procede rapido nel cuore di una campagna che si allarga fino al lontano orizzonte di alture. Terre punteggiate di minuscole fattorie con vendita diretta di “fruit et fromage”. Un enorme gregge di pecore. Maneggi di cavalli.
La prima tappa in programma è il carcere in cui Emilio è rimasto detenuto per quasi due mesi. Intendiamo portare un saluto a coloro che sono stati i suoi compagni. Troviamo ad attenderci solidali e NO Border di Marsiglia, Helene insieme ai compagni di La France Insoumise e di Attac. C’è anche il coro di La lutte enchantée. Dal punto soprelevato su cui ci accampiamo con bandiere e impianto audio riusciamo a vedere le celle e un angolo dei cortili interni. Canzoni, interventi, slogan a cui si uniscono voci oltre le mura. Ci rispondono mani e panni sventolati dalle finestre: le grida di libertà volano oltre le sbarre portando in alto l’irriducibilità della speranza.
Emilio ci aspetta poco lontano, insieme a Marinella, Vanessa e Sonia, nel grande spiazzo antistante il cimitero militare nazionale . Il suo viso buono, il sorriso mite e arguto, la grande figura che ci viene incontro a braccia aperte…. La commozione è grande, davvero un ritrovarsi: in quegli abbracci, nelle battute scherzose c’è tutta la tenerezza della nostra famiglia di lotta. Da zaini e borse escono bottiglie, dolci. Si brinda alla lotta ed alla speranza di liberazione, concreta, più forte della giustizia ingiusta. Alle nostre spalle, oltre la cancellata, una distesa di lapidi, tutte uguali, a ricordare l’immenso, intollerabile massacro che è la guerra. I folti pini marittimi e i cipressi che ombreggiano il luogo osservano benevoli l’insolita animazione e si prestano a fare da sfondo alle fotografie ed ai filmati che già hanno spiccato il volo e viaggiano per ogni dove, a documentare questa memorabile giornata. Meno benevolo l’atteggiamento della triade ( due gendarmi in divisa e uno in borghese ) comparsa sulla strada a controllare ostentatamente la nostra allegra brigata. Ma l’ora avanza inesorabile ed è ormai tempo di ripartire, Emilio verso la casa di Aix messagli a disposizione da un compagno, noi di ritorno alla nostra Valle che ci aspetta. L’ultimo saluto ci stringe il cuore. Mentre i pullman si muovono lasciando sul piazzale una figura solitaria che si fa sempre più piccola e lontana, mi irrompono in mente, all’improvviso chiari e vivi, i versi di Dante: “ Era già l’ora che volge il disio ai navicanti e ‘ntenerisce il core lo dì che han detto ai dolci amici addio e che lo novo peregrin d’amore punge, se ode squilla di lontano che paia il giorno pianger che si more” Saranno loro ad accompagnarmi per tutto il viaggio, come un ostinato ritornello, voce del tramonto che si spegne negli stagni e della sera che accende i lumi delle case sperdute in una campagna che si fa immensa. L’ultima tappa prima del rientro è una Briancon gelida e deserta, surreale nella luminaria delle vie, dei ristoranti scintillanti e vuoti. Poi il transito in frontiera (ma chissà se in questa notte glaciale, confidando nella luce di una luna insolitamente piccola, qualche disperato migrante cercherà di passare il confine….). Ed ecco l’Alta Valle, la visione fugace del cantiere TAV in Clarea… Infine Bussoleno, la piazza del mercato, gli ultimi saluti…. Ed è già ricordo, malinconia. Ma domani ricomincia la lotta, “l’amor che move il sole e l’altre stelle” .
Domenica 23 gennaio: è il giorno della carovana “ Emilio libero”, che percorrerà la Valle fino alla frontiera . Il piazzale del presidio di San Didero si riempie di auto. La mattina è di sole velato, ma il cielo pallido già primaverile è smentito dall’aria pungente che sa di gelo.
Nostra meta sono i monti che si ergono sullo sfondo, ancora carichi di neve, promessa di svago e di aria salubre per i turisti degli sport invernali, ma trappola mortale per chi, clandestino e mal equipaggiato, cerca di passare il confine verso la Francia. A quella frontiera e su quei sentieri Emilio non ha fatto mancare la sua mano forte e solidale, ecco il reato per cui è recluso in un carcere francese, a monito di chi non si piega. Di quanto gli viene imputato come crimine siamo e ci sentiamo concretamente complici. E proprio questo dicono i volantini che saranno distribuiti lungo il tragitto, i cartelli esposti sulle auto, gli striscioni che lasceremo nei paesi: “ Con Emilio su quei sentieri c’eravamo tutte e tutti”.
Nel piazzare fervono i preparativi, si intrecciano i saluti. Si ritrovano persone venute anche di lontano ed è bello prepararci ancora una volta a “partire e tornare insieme”. Intanto, nel fortino di rimpetto si esibiscono mezzi e divise, compaiono teleobiettivi, ma questa volta nessuno li degna neppure di uno sguardo.
Finalmente la carovana si avvia, in testa il veicolo con enormi casse per amplificare voci e musica. Così pavesato di striscioni gonfiati dall’aria, più che un furgone sembra un vascello pirata che inalbera la bandiera bucaniera. Nello spiazzo dell’hotel Paradise stazionano tre blindati e varie auto della digos, pronti a partire; ce li troveremo davanti, di fianco, dietro, lungo tutta la manifestazione. Si sfila con brevi soste a Bussoleno e a Susa ( che malinconia passare davanti alla casa di Emilio, rivedere il breve spiazzo dove, durante l’attesa di estradizione, piazzammo il gazebo, per stargli vicini e lui, recluso ai domiciliari, non potendo uscire fuori dal perimetro della sua casa,compariva oltre la recinzione per offrirci qualcosa di caldo, preoccupato per ognuno di noi…).
I paesi dell’Alta Valle sembrano deserti, con le case silenziose e le saracinesche dei negozi abbassate (il traffico verso i campi da sci passa sull’autostrada che ha rubato spazio a vigne e coltivi, portando via risorse e deturpando con gli alti piloni la bellezza dei luoghi) . Si apre qualche finestra, qualcuno esce richiamato dalla musica, prende volentieri il volantino. A Chiomonte Marisa e Gildo, nostri compagni di tante lotte, sono sulla porta di quello che fu il loro negozio di alimentari a salutarci .
Fermata obbligata a Oulx. La stazione ferroviaria è una tappa cruciale di transito per quanti cercano di raggiungere la frontiera, l’ultima sosta prima della lunga salita che li porterà al confine del Monginevro, Di qui parte anche il servizio autobus per i campi da sci di Cesana, Claviere e Sestrieres, riservato ai turisti e vietato ai migranti. Nei pressi della stazione una cooperativa diocesana ha aperto un punto di accoglienza notturna. Invece è stato sgomberato e chiuso l’altro rifugio totalmente autogestito e aperto giorno e notte, la ex casa cantoniera, occupata dopo lo sgombero del sottochiesa Chez Jesus di Claviere, l’occupazione che ha visto come acerrimo nemico proprio il parroco, un vecchio prete evidentemente dimentico del messaggio evangelico. Attraversiamo Oulx nel primo pomeriggio. Turisti ai tavolini a godersi il solicello. Occhiate tra l’interrogativo e l’ironico alle scritte, alle bandiere NO TAV, a questa nostra flotta che risale la montagna quando gli sciatori del fine-settimana si preparano a ridiscendere. Dopo le ultime costruzioni ci viene incontro la casa cantoniera, abbandonata: brandelli di striscioni scoloriti, catene arrugginite al cancello, i sigilli del sequestro volati chissà dove. Invece continuano a pesare le denunce e stanno partendo i processi contro i solidali.
A Claviere non si entra: un fitto cordone di poliziotti in assetto antisommossa blocca l’ingresso del paese. Non resta che imboccare il tunnel di circonvallazione verso Montgenèvre. Ma se la prima parte del corteo ce la fa ed esce “a riveder le stelle”, un buon numero di auto rimangono intrappolate a respirare l’aria mefitica della galleria, mischiate ai veicoli francesi, bloccati perché anche dalla parte francese la frontiera è stata chiusa al traffico. A questo punto, si decide di invertire la marcia e di attestarci a valle. Chi potrà, entrerà in paese a piedi e proseguirà verso il confine.
Nella via centrale di Claviere imperversa lo struscio della domenica pomeriggio: gente in tenuta da sci, bar affollati, pasticcerie e negozi sportivi scintillanti di luci, piazzali affollati di auto e torpedoni, chiesa blindata. Incontro famigliole sorridenti, di ritorno con i bambini dalla passeggiata sulla neve e il pensiero corre ad altre famiglie, male in arnese, i bambini tristi, il passo incerto, lo sguardo smarrito, pochi bagagli…. All’altro capo del paese ancora un cordone di armati, che aggiro infilando un sottopasso.
Ed ecco finalmente le auto, la musica, gli interventi, le bandiere, i cartelli, il cibo condiviso della carovana per Emilio. Il confine è lì, a poche centinaia di metri, protetto da una barriera di armati che sbarra la strada e si allunga attraverso le piste fino ai balzi di roccia e alle pinete che ricoprono i pendii. Altre le insegne, altre le divise, identica la spavalda, minacciosa immobilità.
Ma intanto è giunta l’ora del rientro. Mentre si ritirano cibo ed oggetti e si organizzano posti in auto per gli appiedati, ricomincia la circolazione. Da un furgone diretto in Francia si sporge una faccia sorridente: l’automezzo è uno di quelli che percorrono l’Europa per trasporti a cottimo e senza contratti. I manifestanti in frontiera conoscono l’autista per averlo incontrato più volte. Accetta di buon grado il cioccolato,il panino, la bibita che gli viene offerta, poi un saluto gioviale e via. All’altro capo del tunnel ci attende quel che resta della carovana. Ripartiamo mentre il buio sale lungo le rocce su su fino a spegnere l’ultima luce. Il freddo si fa gelo. Forse anche stanotte qualcuno tenterà di passare….