Le mie sorelle detenute al carcere di Torino in sciopero della fame contro l’iniquità dell’istituzione carcere e l’invivibilità della detenzione scrivono al Presidente della Repubblica.
Non permettiamo che il loro appello cada nel silenzio!



Le mie sorelle detenute al carcere di Torino in sciopero della fame contro l’iniquità dell’istituzione carcere e l’invivibilità della detenzione scrivono al Presidente della Repubblica.
Non permettiamo che il loro appello cada nel silenzio!
Care Compagne e Compagni dell’ Aska e del Neruda,
non posso essere qui oggi per gravi problemi familiari, ma per me è importante farvi giungere la mia condivisione piena di amore e di rabbia.
Il primo momento di lotta collettiva in cui ci conoscemmo fu il Primo maggio del ‘99, con lo spezzone sociale contro la guerra in Jugoslavia, che costò ad Aska un consistente assaggio della repressione a venire.
Insieme abbiamo fatto nascere la opposizione concreta contro il TAV e il modello di vita che lo genera.
E’ una lunga storia di presidi, di consapevolezza e di dignità che hanno rivitalizzato la vita sociale e culturale di una Valle destinata ad essere corridoio di traffico del capitale, in cui tutto passa e nulla rimane.
Abbiamo visto crescere intorno a noi una nuova resistenza, che dell’antica ha fatto rivivere gli ideali ed ha dato energie giovani, intelligenze, coraggio, fantasia, testarda coerenza alle ragioni di sempre, che vogliono liberazione, uguaglianza, dignità per gli uomini e per tutti gli esseri viventi.
Quella che abbiamo vissuto insieme è una storia meravigliosa, che ora dai tribunali del potere vi viene imputata a colpa, ma che è il grande dono che collettivamente ci siamo fatti e abbiamo fatto a chi era senza speranza.
Una storia che nessuna repressione potrà fermare, perché è vita e scorre verso il futuro, limpida e inarrestabile come l’acqua della Clarea, tenace come le radici dei castagni centenari che stanno smangiando l’asfalto del cantiere alla Maddalena.
Le nostre ragioni sono ineluttabili, forti di un conflitto che si allarga nel paese e nel mondo.
Abbiamo dalla nostra parte la memoria del passato, le sconfitte che chiedono risarcimento, l’invivibilità del presente, le istanze del futuro.
Io sono Aska, siamo tutte e tutti Aska e Neruda.
Nicoletta.
L’alba annuncia una dolcissima giornata di primavera . Nella strada verso la stazione mi accompagna il silenzio tranquillo della domenica: oggi si scende a Torino per la manifestazione del Primo Maggio.
Alle varie stazioni della Valle vedo in attesa gruppetti con le bandiere NO TAV e della pace. In maggioranza sono giovani e giovanissimi con l’allegria delle prime incursioni nel mondo delle lotte.
Alla stazione di Porta Nuova la consueta accoglienza: nell’atrio, assieme a qualche agente in divisa, gli immancabili digos, la polizia politica in borghese ; facce nuove, riconoscibili dagli auricolari e soprattutto dalla finta indifferenza con cui ci seguono di lontano, passo passo, per le vie cittadine svuotate dal fine settimana festivo, tra viali e giardini pubblici dove tranquilli signori portano a spasso i loro cagnolini.
Arrivando in piazza Vittorio, troviamo lo spezzone sociale bloccato. La testa del corteo con le autorità cittadine, il PD e i partiti di governo, la Triplice sindacale stanno già sfilando da un pezzo, preceduti dalla banda musicale.
La loro è essenzialmente una esibizione retorica, un paravento dietro cui celare le concertazioni, la sudditanza agli sfruttatori di sempre, le scelte guerrafondaie.
Tutti costoro hanno fretta di giungere sul palco del comizio finale, liquidando l’incombenza annuale che sono riusciti a trasformare nel tempo in una celebrazione ufficiale depurata di ogni memoria storica ( non una festa, ma un durissimo sciopero fu l’originario Primo Maggio).
Ma questo giorno è ancora lotta per la folla di ragazze e ragazzi, le centinaia di striscioni e bandiere, le voci che si alzano dai megafoni contro la guerra, la precarietà, le devastazioni sociali e ambientali.
Voci scomode, da reprimere e silenziare, da bloccare con una barriera di agenti armati che si sposterà solo a manifestazione ufficiale finita.
Soltanto a questo punto il Primo Maggio acquista senso, presenza, colori. Dal furgone in testa allo spezzone sociale si susseguono interventi che parlano di morti sul lavoro, povertà crescente, diritti negati, soldi pubblici sottratti ai bisogni reali e sacrificati sull’altare della ennesima guerra NATO . Perché, da ogni parte, a pagare il prezzo più alto delle guerre sono sempre gli ultimi, la gente comune, il mondo vegetale, gli animali….Verità da silenziare per i governi con l’elmetto, gli affaristi dell’industria bellica, i militaristi e interventisti di sempre.
Lo spezzone sociale prosegue tra gli applausi, si fa marea grazie alle persone di tutte le età che entrano nel corteo, tante facce sorridenti, slogan , musica, sventolìo di bandiere…
Troppo per un potere invidioso e vendicativo: a poche centinaia di metri dalla piazza finale ritroviamo un muro di armati che sbarra via Roma e si allarga sotto i portici.
Prima di qualsiasi avvicinamento partono due pesanti cariche: manganellate e colpi di scudo su giovani e anziani, teste aperte, sangue, urla di “Vergogna, vergogna!” anche da parte dei turisti a spasso nella Torino dell’arte e dell’aperitivo domenicale.
Ma il corteo non si arrende, in breve si ricompone, recupera striscioni e cartelli.
Il muro di scudi si infittisce: due mondi si fronteggiano, macchine contro esseri umani; infatti sembrano davvero robot quelle figure blindate in scafandri di metallo e plastica, gli sguardi assenti, il volto di pietra: evidentemente la condizione indispensabile per eseguire ordini dissennati, avventarsi contro persone inermi.
C’è chi tenta di rivolgersi a loro con gentilezza: una donna anziana (il volto dolcissimo, una lunga treccia bianca) si fa avanti per tentare un dialogo che non riceve risposta.
A un certo punto si avvicina al furgone e chiede il microfono un signore anziano: è Gastone Cottino che ricorda la sua storia partigiana, la militanza lungo tutta una vita quasi centenaria e ora rivendica per tutti il diritto inalienabile a manifestare liberamente.
La situazione si risolve poco dopo. Il blocco armato si apre ed entriamo in una piazza dove non c’è più traccia né di funzionari confederali né di “autorità”.
Finalmente il palco del Primo Maggio accoglie le sue vere voci: i lavoratori rider, gli studenti, le donne di “Non una di meno”, il Movimento NO TAV, il sindacalismo conflittuale, l’ambientalismo di base….
Ma è per me ora di ritornare al treno.
Lungo i portici di via Roma è ormai il momento della passeggiata pomeridiana : famigliole allegre , coppie col cagnolino….
In una rientranza dei portici, seduto per terra, c’è un uomo, poco più di un ragazzo; accanto a lui un cane, la testa appoggiata sulle sue ginocchia. Sta in silenzio e non tende la mano, ma un barattolo per le offerte dice la sua condizione.
La gente passa con indifferenza davanti a questo invisibile.
Odio gli indifferenti.