Neve, come l’8 dicembre di sedici anni fa

Oggi siamo in cammino, con un lungo serpentone che si snoda da Borgone, tra case e prati, verso il cantiere di San Didero.
Quel giorno, fermati a suon di manganellate al Bivio dei Passeggeri, scendemmo su Venaus attraverso i viottoli dei boschi, fino alle recinzioni del cantiere appena sorto e subito smantellato dall’impeto di una lotta popolare che muoveva i primi passi.
Allora una marea di passi volti e voci, abbattute le reti che cingevano i terreni espropriati, si riprese terra e diritti .
Ora quelli che erano poco più che nastri colorati sono diventati muri e cancelli sormontati da filo spinato, protetti da mezzi militari e da un esercito in assetto antisommossa, ma la lucida rabbia di quel tempo ormai lontano è sempre viva. Ad alimentare questa nostra lotta di lunga durata ci sono il vigore e l’entusiasmo dei nostri figli e nipoti che, non solo metaforicamente, hanno preso la testa del corteo.
Lasciato l’abitato, avanziamo nella campagna.
La neve cade lenta su un paesaggio dolcissimo di prati, boschi, piccole cascine. Anche questa bellezza è in pericolo : tra le “opere di compensazione” TAV è stata inserita una nuova strada, che passerebbe proprio qui, a cancellare il presidio di Borgone nato su questi terreni, quando, nei primi mesi di quel lunghissimo e indimenticabile 2005, la società promotrice della Torino-Lyon tentò invano il primo esproprio per iniziare le trivellazioni. La piccola costruzione di legno fu ridotta in cenere da un incendio doloso, ma subito ricostruita dal Movimento NO TAV che si prepara a difenderla ancora.
La manifestazione, iniziata sotto una fitta nevicata, finisce sotto l’acqua degli idranti e la pioggia dei lacrimogeni.
Il piazzale antistante il presidio di San Didero si trasforma rapidamente in un mare di fumo velenoso, mentre i proiettili CS piovono spessi sui gruppi che tentano di avvicinarsi al fortino, sulla folla di manifestanti che continua ad arrivare, sulle auto nei parcheggi, sulla statale bloccata da cordoni di scudi e manganelli, sulla piccola accampata di tende che distribuiscono caldarroste e vin brulé.
Intanto, nella sera che si rasserena, emergono le montagne innevate presto inghiottite dall’ombra.
Dall’alto la falce di luna crescente guarda, assorta.

Piazza Castello bloccata.


Ci siamo avvicinati dalla parte dei giardini reali. Anche qui la digos impedisce il passaggio.
Arrivano gruppi di turisti, qualche sportivo in bicicletta o in tenuta da jogging; sostano incerti; di fronte al “divieto d’accesso per manifestazione”, tornano indietro rassegnati .
I manifestanti siamo noi, torinesi e valligiani. Ci ricompattiamo all’angolo di via Cernaia, ma in piazza non entriamo, bloccati dal solito schieramento di robocop in assetto antisommossa.
A poche centinaia di metri, nell’ovattata atmosfera della prefettura, si celebra il rito di sempre: il ministro dell’Interno, il capo della polizia, il prefetto, il questore, il sindaco di Torino. Il tema è l’ “ordine pubblico in Valle di Susa”
I sindaci della Valle di Susa non sono stati invitati, nonostante l’argomento sia la Valle e l’opposizione al TAV.
Certamente fioccheranno encomi istituzionali alle “forze dell’ordine” che da anni ci avvelenano con i lacrimogeni, riempiono di filo spinato i boschi, militarizzano i luoghi della nostra vita.
Noi abbiamo portato in piazza le foto delle compagne e dei compagni ancora sottoposti a carcere e domiciliari.
C’è la foto di Giovanna, vittima di lacrimogeni sparati in faccia e derubricati a “fuoco amico” ( da Genova in poi compare sempre il “sasso lanciato dai manifestanti”, pronto a scagionare le violenze poliziesche).
Ci sono anche le foto scattate qualche giorno fa, durante la nostra più recente manifestazione contro il fortino della Clarea: si vedono poliziotti che sparano lacrimogeni “a misura d’uomo” e lanciano pietre addosso a chi resiste….ma la ministra è venuta ad elogiare e ringraziare questi violenti in divisa.
Dalla manifestazione si alzano voci di denuncia e slogan di lotta: parole semplici e chiare, perché la verità non ha bisogno di fronzoli.
Di fronte a noi un altro mondo, grigio e brutale, l’apparato che difende i grandi sporchi interessi, devastanti per la società e per la natura.
La vampa del mezzogiorno cuoce a fuoco lento quella muraglia di caschi, scudi, stivali, giubbotti antiproiettile. Mentre la truppa si squaglia sotto il sole, i dirigenti e la digos se ne stanno al riparo sotto i portici. Quanto ai personaggi del palazzo, non mancherà per loro un raffinato simposio.
…………….
E’ ormai il primo pomeriggio. Si dirada intorno a noi la folla dei turisti che hanno atteso invano di poter accedere alla piazza ed ai suoi monumenti. Si riempiono i tavolini dei bar. Ministro e relativo apparato saranno ormai altrove, visto che il presidio armato si appresta a rompere le righe.
Anche per noi è ora di far ritorno ai luoghi della nostra vita.
Per raggiungere i mezzi che ci riporteranno in Valle attraversiamo il mercato di porta Palazzo, affollato dai tanti che, avvicinandosi l’ora della chiusura, potranno comprare le rimanenze a prezzi scontati. Le merci esposte sono un tripudio di forme e di colori: frutta, verdure, tutta l’estate sulle bancarelle. Al limite estremo, minuscolo nel suo isolamento, c’è un tavolino che espone erbe aromatiche: mazzi di profumatissima menta, cerfoglio, origano, maggiorana. Intorno, un gruppetto di donne velate: é questo il popolo minuto che, nelle antiche case di ringhiera di quella che fu la Torino operaia, continua a resistere al progetto devastante della città-vetrina in corsa ad alta velocità verso il nulla.

Lucciole

Un tripudio di lucciole sulle stoppie dei grano mietuto, nel sottobosco che accompagna le acque del canale.
Grilli, la voce di questa notte d’estate ad accompagnare i passi silenziosi verso quello che fu un bosco risorto sulla terra inquinata dalle acciaierie, ora ridotto ad un fortino per la grande mala opera.
Poi i lacrimogeni, il veleno che annienta, insieme alla salute umana, la vita naturale , questa violentata tenerezza.
Si ritorna, il respiro strozzato , l’animo in rivolta, in un buio muto di luci e di suoni.
La nostra lotta di liberazione è anche per queste esistenze minime, per la natura negata.