Sono venti di guerra quelli che spirano a rendere più intollerabile l’afa di questo tardo pomeriggio di fine giugno. Venti invisibili su una città inconsapevole.
Sono scesa a Torino per partecipare alla manifestazione contro guerra e riarmo convocata in tutto il Paese dal Coordinamento Disarmiamoli.
In piazza Carignano, accanto alle bandiere dei sindacati di base, delle formazioni studentesche e dei partiti rivoluzionari, sventolano le bandiere della Palestina.
Pochi gli anziani ( in gran parte donne, le compagne di sempre), ma molti i giovani, ragazze e ragazzi: ne sono lieta e commossa, perché sono loro l’istanza di liberazione che non muore, la garanzia che, nonostante gli imbonitori di regime, lo spirito critico e l’amore per la verità possono essere ancora l’antidoto contro la resa ai luoghi comuni e all’interiorizzazione della sconfitta.
Gli interventi al microfono si susseguono, chiari, semplici, senza reticenze né mediazioni, sotto l’occhio inquisitore e l’orecchio teso della digos che per l’occasione ha sostituito le truppe in assetto antisommossa.
La manifestazione prosegue con un corteo diretto alla sede RAI.
Percorriamo le vie del centro. Dalla folla dello struscio serale, qualche isolato applauso e tanta indifferenza. Ad un incrocio, tra i passanti in sosta, noto un padre e una bambina, piccolissima, su un passeggino: mentre il padre guarda con un’espressione di infastidita indifferenza, la bambina ride allegra e batte le manine al ritmo degli slogan….e quel suo ridere felice è come una fresca brezza che irrompe nell’aria morta della città e ridà agio al cammino.
Alla Rai troviamo i cancelli chiusi e, al di là dei cancelli, i blindati della polizia: anche questa volta i telegiornali della sera risponderanno col silenzio.
Al ritorno verso Porta Nuova dove mi aspetta il treno per il rientro in Valle, ripercorro le vie del centro. Via Po, piazza Carlo Alberto, via Lagrange….
La città serale si è trasformata in una grande trattoria all’aperto. Piazze e portici invasi da tavoli imbanditi: pizze, piatti di pesce, grigliate e insalatone su cui si affannano a suon di forchetta e coltello coppie, comitive, qualche singolo inglobato nel contesto.
Relegati a debita distanza, sparuti mendicanti chiedono oboli che faticano ad arrivare, un ragazzino offre per due euro braccialetti di vetro colorato. In qualche anfratto di portico aspettano le povere cose che diventeranno giaciglio notturno per i senzatetto.
Mentre mi affretto con affanno nell’afa che non vuole cedere alla brezza serale, mi sento invadere da un senso di totale precarietà,dall’insensatezza di una città di cartapesta che non riesce ad esorcizzare fino in fondo la realtà. E la realtà, contro cui invano si alzano i brindisi delle tavolate e le vetrine sfoggiano la leggerezza multicolore degli abiti estivi, ha il volto di bambini, donne, uomini, tutto un popolo che muore di fame e di bombe mentre i governi del nostro mondo votano l’aumento delle sperse militari.
Intorno si accendono le luci, si alzano le note di un’orchestrina.
Nei saloni del Titanic che affonda le coppie continuano a danzare.