Un milione. Un milione di corpi in movimento, di bandiere, striscioni, messaggi a pennarello su pezzi di cartone. Un milione di voci che scandiscono slogan per la Palestina, nacchere e tamburi, canzoni (ho risentito con gioia e meraviglia canti che vengono da lontano, dagli anni ribelli della mia gioventù e dalle lotte operaie e contadine dei miei padri proletari).
Milioni e milioni di passi lungo i viali della Roma imperiale, a cui sono giunti i ribelli delle periferie sociali di tutto il Paese. C’è anche la nostra Valle, anch’essa ridotta a periferia dal sistema violento e folle che sulla guerra agli esseri umani e alla natura fonda il proprio dominio e la propria esistenza.
Si cammina al fianco della Palestina e della sua resistenza, contro il massacro che, a partire dalle morti bambine, sta annientando quel popolo e la sua terra. Si cammina contro i governi del mondo – governo italiano in primis – che o stanno dichiaratamente dalla parte di Israele o nulla di concreto stanno facendo per fermare il genocidio, perché gli interessi che li legano a Israele e al sistema USA – NATO sono più forti di ogni sia pur minimo senso di umanità.
A ribellarsi sono i popoli del mondo: una solidarietà e una lotta che si risvegliano perché si è capito che la Palestina è ovunque e che, lottando per quel popolo che il capitalismo da sempre vuole annientare, si lotta per se stessi.
Nel dolcissimo ottobre romano le tinte accese dell’autunno si mescolano al fiume di suoni e di colori che avanzano verso il centro. In tanto splendore stona il muro cupo di divise e blindati che sbarrano le vie laterali, il ronzio degli elicotteri, i droni che contendono il cielo al volo dei gabbiani.
Ed eccoci al Colosseo. Il tramonto inonda di rosso le antiche mura, le gradinate su cui i proletari dell’epoca sedevano, ammansiti con la ricetta del “panem et circenses”….Quanto sangue avrà conosciuto l’arena…sangue di gladiatori , schiavi costretti ad uccidere altri schiavi….sangue di leoni, tigri, elefanti, animali strappati alla terra natia per venire a morire al centro dell’impero.
Quando arriviamo a piazza San Giovanni, è ormai buio. Gli interventi conclusivi sono finiti da un pezzo. Mentre sta sfilando la coda del corteo, arriva la notizia di cariche poliziesche e di fermati. Nella notte sirene di ambulanze e di cellulari.In piazza santa Maria Maggiore la polizia in assetto antisommossa fronteggia un gruppo di manifestanti accorsi a sostegno dei compagni fermati. Sono giovani e giovanissimi, ragazzini, gli stessi che in ogni città continuano la mobilitazione in nome dei diritti negati. Ragazzini come quelli di Gaza che anche in questo momento stanno morendo di bombe e di fame.
Mentre ci spostiamo verso Termini in cerca di una metropolitana , incappiamo nell’ennesima carica appoggiata da idranti e lacrimogeni. Gli agenti braccano i manifestanti lungo le vie della movida: fa un certo effetto sentire il morso acre dei lacrimogeni arrivato fino ai tavoli delle trattorie, tra le code alla vaccinara, i tonnarelli cacio e pepe e il “vino de li castelli”, a disturbare il rito indifferente del sabato sera…
Ma ecco piazza della Repubblica, la metropolitana affollata di bandiere, kefie, saluti, richiami…Si corre veloci in direzione Anagnina, dove ritroveremo i compagni e il pullman per il rientro a casa. Ci aspetta una lunga notte di viaggio verso la Valle, là dove la lotta continua.