Rose e cocci

Giorno di Pasqua. Pasqua sotto la pioggia.

Scoccano le nove, per me l’inizio dell’“ora d’aria”. Per tre ore posso muovermi all’interno dei confini comunali. Mi avvio col mio cane Gigio, fedele compagno delle mie uscite quotidiane.

Oggi niente “ posto delle fragole” (così chiamo lo scampolo di prati e bosco lungo la Dora che è diventato per Gigio e me il luogo del cuore): il fiume gonfio d’acqua ha invaso l’area di espansione e spinge minaccioso contro gli argini.

Il paese sembra deserto in questa mattinata di pioggia e nuvole basse. Solo qualche sparuto passante, poche auto sulle statali che si perdono in una spessa caligine.

Arriviamo al cimitero: prima la passeggiata nei prati che si stendono fuori dalle sue mura, poi la visita a Silv, per l’inutile quotidiano tentativo di un colloquio senza parole.

Gli acquazzoni degli ultimi giorni hanno ricoperto di verde tenero anche le tombe più abbandonate e si può cogliere il laborioso affaccendarsi dei merli tra le siepi di bosso e i rosai che, ridesti, protendono germogli e spine.

La pioggia canta, accarezza gli angeli addormentati, dà parvenze di vita anche ai fiori artificiali che in mazzi indistruttibili vegliano sui tumuli a perenne ricordo.

Gigio cammina paziente al mio fianco, annusando a tratti tracce per me invisibili.

Alla cappella dove le ceneri di Silv sono riposte accanto ai defunti di famiglia ci accoglie il silenzio di comunicazioni a senso unico, il sorriso di volti che ci guardano senza parole.

Mentre torniamo si sciolgono le campane del mezzogiorno: l’ora d’aria è finita ed ogni ritardo nel rientro a casa costituisce un reato per il codice della “giustizia” carceraria.

Comincia il pomeriggio di una domenica più che mai vuota. A rompere la monotonia, ad ora incerta, arriverà la scampanellata della pattuglia preposta al controllo quotidiano dei detenuti agli arresti domiciliari.

E intanto la vita se ne va, lasciando dietro di sé rose e cocci.

Piove.

Pioggia battente. Stanotte i tuoni del primo temporale di primavera.
In strada un fiume d’acqua: il consumo del suolo, la devastazione delle foreste, le bealere intubate, l’asfalto dove c’era l’erba, il dissesto idrogeologico generale fanno la loro parte. Le acque della Dora si allargano sui paesi del fondovalle.
In questa nostra Valle assediata dalla guerra del TAV anche la natura si ribella.

Banda degli Ottoni a Scoppio, musica per il popolo

Dicembre 2015. La Milano confindustriale mette in pratica il jobs act recentemente approvato e si prepara a lucrare sullExpo.
Per l’inaugurazione della stagione lirica della Scala si rappresenterà il Fidelio di Beethoven. E’ la storia di una lotta di liberazione, sociale e di genere, ma alla lobby finanziario-industriale non interessa l’antico messaggio, quel che importa è l’esibizione del potere e delle ricchezze.
Mentre i ricchi si preparano a sfoggiare le toilettes, nella piazza si raccolgono le voci del dissenso.
A sostenere il dominio di sempre sono state schierate, come ogni volta, le truppe antisommossa.
Ma in piazza c’è anche la libera musica, la Banda degli Ottoni a Scoppio, musica per il popolo, la quale si frappone con uno scudo di di note alle manganellate che , quasi immediatamente, piovono sui manifestanti.
Per questo scudo musicale la Banda degli Ottoni è stata messa sotto processo e, il 15 dicembre scorso, due dei suoi componenti-simbolo, Roberto e Giancarlo, sono stati condannati per “resistenza aggravata a pubblico ufficiale e favoreggiamento”.
Da anni il Movimento NO TAV ha al suo fianco i musicisti della Banda degli Ottoni a Scoppio: sempre presenti, generosamente, ad aprire con una carica di note i nostri cortei e le nostre manifestazioni, portando allegria e voce musicale alla rabbia generosa del nostro popolo in lotta.
Per questo e per amore verso una storia collettiva che viene da lontano, storia di resistenze di gioiosa ribellione, oggi siamo con voi, cari compagni, contro l’ingiusta sentenza che vi colpisce.
Alla faccia dei loro tribunali, c’eravamo, ci siamo, ci saremo sempre!