Fogli di diario – 12 gennaio 2020

Arrivo al cortile di quella che in gergo carcerario si chiama l’ora d’aria
Sola: è domenica mattina e, delle mie compagne, qualcuna prolunga il riposo in branda, qualcun’altra per l’ennesima volta pulisce a fondo la cella.
Un gruppetto è salito in cappella, dove si celebra la messa. Molte ci vanno perché è un’occasione per uscire dal cubicolo dove si è costrette a vegetare, ma soprattutto perché si possono incontrare le recluse delle altre sezioni, scambiarsi un furtivo saluto, sussurrarsi qualche notizia del mondo fuori. Una messa in cui è vietato ogni contatto, perfino l’abbraccio del segno di pace previsto dal rito. Mi si racconta di una guardiana munita di un lungo bastone col quale ha l’abitudine di punzecchiare chi si fa sorprendere a parlare con la “compagna di banco”.
Io voglio evadere all’aperto, via dalla lunga tortura della notte insonne, dalla trappola di quel pertugio tra le sbarre, Mi serve aria, sia pure l’aria inquinata di questa degradata periferia cittadina; mi serve spazio, sia pure il breve cortile di cemento intrappolato fra i muri.
Per questo scendo, sola.
Le secondine alla rotonda mi hanno dato un distratto “via libera”, senza neppure la consueta perquisizione.
Deserte le scale, deserti i corridoi . In questo labirinto che è il carcere stento a trovare la strada verso l’area assegnata alle “nuove giunte”. Costeggio una serie di cancelli blindati, ed ecco, alla fine, lo spazio a me consentito.
Il cancello è aperto; non ci sono guardiane, tutto è immobile, davvero surreale.
Sotto il rettangolo di cielo intensamente azzurro che mi sovrasta urla l’illusione che sia qui l’anello che non tiene, il filo d’Arianna capace di condurre fuori da questa fortezza, alla campagna aperta.
Cammino lungo i muri ascoltando l’eco dei miei passi sul cemento.
Dalle pensiline piovono gocce di condensa: è il freddo notturno che si liquefa in un tepore di precoce primavera.
Il sole avanza a poco a poco. Sul pavimento del cortile si allarga una striscia luminosa; la percorro avanti e indietro, lentamente, e sento la gioia delle membra che si sciolgono, la ritrovata serenità del cuore.
Dalle finestre dell’ultimo piano si alza un canto corale, uno di quelli che accompagnano le celebrazioni liturgiche: voci femminili anch’esse in corsa oltre le sbarre.
Ricordi, analogie, immagini che emergono e prendono corpo e voce.
Chiostro di convento. Monastero di Santa Chiara, la Napoli degli amati vicoli, alla quale ritorno, ogni volta, come ad un’avventura.
Questo cortile spoglio di prigione mi riporta, per contrasto (o per corrispondenza?) a quell’antico chiostro di convento napoletano, clausura dorata per le fanciulle nobili non destinate al matrimonio o per le troppo povere, adibite a ruoli ancillari: prigioniere anch’esse, nonostante la ricchezza dell’edificio, lo splendore dei viali di aranci, dove da secoli i fiori profumati si alternano ai grandi frutti d’oro e di rame.
In quel giardino le ceramiche di Capodimonte, che ornano i sedili e delimitano sentieri ed aiuole, raccontano la storia di un mondo negato per sempre alle fanciulle velate: i balli di corte e le allegre scampagnate, la vita del porto con i velieri che puntano all’orizzonte, l’immaginaria Arcadia dei pastori, il brulichìo dei quartieri poveri dove miseria e nobiltà rappresentano le due facce della stessa realtà. Su di tutto il Vesuvio col suo eterno pennacchio di fumo.
Pure quella una vita per procura, un fine pena mai, non compensabile da privilegi né da omaggi devoti.
Continuo a camminare, sospesa in una bolla di spazio e di tempo, come sottratta al potere dai cento occhi— e mi sento quasi felice.
Su di me un volo di colombi.
Anche il cielo sorride.
Ed è un grido di gabbiano quello che echeggia all’improvviso oltre i tetti.
Ecco il grande uccello apparire, scomparire portando con se la propria voce che sa di avventura e di malinconia.
Forse, oltre le mura, il mare…..

Fogli di diario – Gennaio 2020

Sopra la prigione è spuntata la luna.
L’ho vista all’improvviso affacciarsi tra le sbarre, il grande volto triste reclinato a guardare questo mondo in catene.
Alla sua luce, la notte si dilata, sembra annullare i blocchi carcerari che restano immobili e silenziosi, acquattati nell’ombra.
Dal corridoio della sezione mi giungono scampoli di conversazioni: in questi momenti che precedono la chiusura dei blindi anche la non-vita di questo non-luogo assume i suoni e le parvenze di una qualche quotidianità domestica, prima del sonno.
Fra poco il corridoio su cui si affacciano le celle sarà uno spazio vuoto e muto, percorso solo dal passo cadenzato delle vigilanti.
………….
La luna è già alta in cielo, sta per scomparire oltre il cornicione….
Ora di lei resta un alone argenteo, presto sommerso dal fascio freddo dei riflettori che scrutano perennemente le tenebre.
Immagino il suo lento andare lungo la mia valle, sui boschi della Clarea: nelle notti di plenilunio i sentieri verso il cantiere sono così chiari, che si possono percorrere senza l’aiuto di luci artificiali.
Quanti passi insieme, giorno e notte, verso gli appuntamenti della nostra lotta…quanti brindisi di Capodanno davanti alle reti…
……….
La malinconia alimenta la memoria e mi riporta al 2011, il primo di quei capodanni.
Ci preparavamo a contrastare la cementificazione della piccola valle immersa tra acque e foreste e, con mesi di lavoro, avevamo costruito la minuscola baita in pietra che, in quell’anno, sarebbe diventata, oltre che presidio NO TAV permanente e attivo contro le devastazioni del cantiere annunciato, luogo di accoglienza spontanea per i viandanti diretti, attraverso la via Francigena, verso Santiago di Compostela (il timbrino NO TAV era utilizzato come annullo irrituale per i tanti che ci chiedevano un segno del loro passaggio sulla strada dei pellegrini).
Nel capodanno 2011 c’era la neve alta in Clarea e fu faticoso raggiungere la baita.
Ma ricordo con emozione l’incanto di quel silenzio così profondo che si potevano percepire i rumori minimi del bosco, lo sgrondare di un ramo, un passo furtivo di animale, un frullo d’ali.
E sopra di noi si dispiegava la meraviglia di un cielo dove camminavano le costellazioni, così splendenti e vicine da regalare l’illusione di poterle toccare.
…………..
Ora la nostra baita è prigioniera anch’essa, dentro le mura del cantiere, tra macerie e matasse di filo spinato, col tetto che va sfaldandosi e i vetri rotti.
Né ci sono più, a proteggerla, i castagni centenari, sradicati per far posto al cemento, ai detriti velenosi di amianto e uranio.
E la notte favolosa è diventata giorno artificiale in una ridda di torri faro e di accecanti riflettori.

Ma la luna, nel suo eterno andare, continua a percorrere quei luoghi, proteggendo, con la sua luce, la nostra irriducibile resistenza.

Fogli di diario – Sabato 11 gennaio 2020

Oggi la mia Valle è a Torino, in manifestazione per noi prigionieri, per le migliaia di indagati e processati, per quanti sono già passati dentro queste celle, dietro le sbarre del non-luogo dove ora vivo.
E’ la prima manifestazione NO TAV a cui non prendo parte di persona, ma solo con la forza dell’immaginazione che nasce dai ricordi.
Probabilmente, a sfilare, ci sarà la mia sagoma di cartone, preparata dai compagni romani ai tempi della mia “evasione” (che giorni gioiosi e ironici furono quelli, pieni di incontri e di avventura, di assemblee e di viaggi in ogni parte del paese….).
Sono rimasta in cella a scrivere, a pensare. In questo pomeriggio di sole la sezione sembra disabitata. Le mie compagne sono scese all’aria: come resistere ad uno scampolo di sole e di cielo azzurro, anche se intravisto in alto, sopra i muri?
Mi giungono attutite le voci dalle prime celle, quelle di isolamento e, dalla rotonda, le chiacchiere delle guardiane.
Anche i cortili che portano verso l’esterno conoscono il vuoto del sabato e dei giorni festivi: niente furgoni, gruppi di parenti avviati al padiglione colloqui, niente andirivieni di figure in divisa, solo un grosso gatto grigio steso ai piedi di un muro, a prendere il sole. A un certo punto compare un’ambulanza che si avvia lentamente verso i blocchi di uscita….
A tenermi compagnia ci sono i passeri: si sono accorti di me seduta alla finestra ed arrivano a sbirciare furtivi, attraverso le maglie della rete, sicuri di trovare le immancabili molliche.
Intorno pesa un senso di ineluttabile costrizione, eppure non sono triste, perché so di fare la cosa giusta e di avere con me l’amore e la condivisione di tutto un popolo….
Tuttavia com’è lontana la casa un po’ caotica ma mia, la stanzetta sui tetti, piena di libri e di ricordi…
E Luna, Tito, Ninetta, Lindo… e gli altri mici senza nome che, di buon mattino arrivano al mio balcone dove troveranno, come sempre, un po’ di cibo.
L’asinella Dorothy e il capretto Juri saranno alla staccionata in attesa di fieno e carote. E il fedele Argo continuerà ad aspettare, al cancello, il mio ritorno ( non dimentico quel suo sguardo smarrito e il suo seguirmi passo a passo, la sera del mio arresto)….
La mia cella si affolla di infinite presenze, persone, animali, i vivi e quelli persi per sempre…
Accendo la TV per vedere l’ora. Le quattordici.
A qualche chilometro da qui, nel centro cittadino, starà partendo il corteo. …musica…parole…bandiere al vento…
Con l’arroganza consueta, le “forze dell’ordine” avranno stretto un cordone sanitario intorno a uomini, donne, bambini, perché il contagio della dignità e della ribellione non possa allargarsi, divenire tempesta.
Eccomi con voi, sorelle e fratelli di lotta e di vita… Anch’io, come sempre, sto camminando dietro lo striscione…..si alzano gli slogan….dal furgone arriva l’onda della musica che parla di dolce, autentica ribellione…. “Si parte e si torna insieme”… “I popoli in rivolta scrivono la storia, NO TAV fino alla vittoria!”…
Anche questo è la felicità.

Nicoletta