Assurdo.
Assurdo il muro di scudi e divise schierato a bloccare il ponte sul Clarea, Assetto antisommossa per fermare la tranquilla passeggiata di una cinquantina di persone, nella stragrande maggioranza anziani, che accompagnano cinque giovanissimi deputati europei a visitare i terreni devastati dal cantiere TAV.
E’ la conclusione di due giornate di incontri con la popolazione e con gli amministratori locali, dai quali gli eletti al parlamento europeo riporteranno nelle aule parlamentari di un’Europa sempre più in mano alle lobby le ragioni vere, popolari, di una lotta collettiva che ha radici profonde e motivazioni limpide e generose.
Siamo partiti come sempre dal campo sportivo di Giaglione, sotto un cielo incerto tra nuvoloni grevi di pioggia ed improvvisi squarci di sereno. Alle nostre spalle il Rocciamelone sbuca tra le nebbie, imponente, splendido di nevi; davanti a noi, in lontananza, si staglia il profilo innevato dello Chaberton .
Ed ecco le vigne , i filari spogli del dopo vendemmia, il tripudio di gialli, rossi, ocra dei boschi autunnali lavati dalla pioggia, le pietre antiche dei Mulini di Clarea.
Ma la magia dell’autunno si interrompe davanti a quello sbarramento armato, davvero contro natura, come lo è il cantiere che ha cementificato ettari di bosco e continua a scavare nelle viscere della montagna, al piede della grande frana, portando alla luce i materiali pericolosi che la madre terra celava saggiamente nel suo grembo più segreto..
E’ una provocazione in piena regola quella che viene inscenata davanti agli occhi increduli dei parlamentari. A nulla valgono i tesserini esibiti, le garanzie fornite dai rappresentanti del popolo: la barriera poliziesca si infittisce, viene rafforzata con blindati e idranti. Nei boschi tutt’intorno si intravedono caschi; decine di mezzi militari sono fatti confluire lungo i muri che fortificano il cantiere.
Di fronte alla legge del manganello i diritti costituzionali vanno in frantumi, i mandati parlamentari sono ridotti a carta straccia.
La fittizia inefficienza dei commissari responsabili lascia campo libero alle iniziative della truppa che, a un certo punto, si scatena contro lo sparuto gruppetto di donne e uomini usando come arma contundente scudi, pugni e calci.
Una parlamentare interpella invano questura e prefettura. Il telefono della questura suona a vuoto; dalla prefettura risponde un sostituto del prefetto che avalla l’operato delle forze del disordine. Fa impressione tanta inflessibilità se si confronta con i ponti d’oro fatti per accogliere esponenti delle lobbies politico-mafiose e i loro tirapiedi.
Sul ponte della Clarea, insieme alla gente che cade travolta dall’assalto poliziesco, crolla anche l’ultima illusione democratica, Quel cantiere che continua a macinare, oltre alla carne viva della montagna, le risorse naturali ed economiche di intere generazioni è solo il piccolo focolaio di una cancrena più vasta che occupa le istituzioni e si fa guerra, razzismo, corruzione, devastazione sociale e culturale, stato di polizia, impero delle banche sul mondo.
Ma la resistenza non è finita. Ci si rimette in piedi; la carezza del sole riesce a lenire il dolore delle botte.
Proprio a metà del ponte viene imbandita una frugale mensa; si scodella il minestrone, compaiono pane, formaggi e qualche buona bottiglia.
Rabbia e allegria, sfottò. La piccola parlamentare coraggiosa che ha resistito in prima fila e si è presa senza scomporsi la sua razione di ammaccature viene insignita della tessera dell’NPA (Nucleo Pintoni Attivi) signore della Clarea.
Si decide quanto rimanere ancora e quando andarsene.
Ripartiamo accompagnati dal mormorio del torrente, Sul sentiero cadono i primi ricci di castagna, il sottobosco è un tappeto di colchici.
Dietro le nostre spalle l’esercito ancora schierato pare nulla più che un congegno meccanico, un’alienata congerie di ingranaggi di cui si è perso il libretto di istruzioni e giace inservibile, già assalito dalla ruggine.
Diario Ateniese. Ultima sera ad Ambelokipi
Giovedì 24 settembre, sera, quartiere di Ambelokipi.
Il comitato locale di Laikì Enotita, Unità Popolare, si riunisce per valutare i risultati elettorali, ma soprattutto per interrogarsi sul futuro.
La saletta è piena: persone di tutte le età, tanti i giovani e le donne, qualche vecchio militante che ha vissuto l’occupazione nazista e i tempi durissimi della guerra civile , molti anziani perseguitati ed esuli ai tempi dei colonnelli, ma anche gente comune, senza un passato politico particolare, attivatisi nei comitati del NO Memorandum.
Temevo di trovare un’assemblea triste, scoraggiata e astiosa; invece mi trovo ad ascoltare interventi lucidi e coraggiosi, che analizzano a fondo la sconfitta, ma non concedono spazio alla disperazione né si lasciano inghiottire da quello che un intervenuto definisce “il deserto del reale, la desertificazione della società, non casuale, disegnata da coloro che hanno le regole del mondo tra le mani”.
All’interno di tale deserto il successo elettorale di Syriza non è una solida vittoria della volontà popolare, ma soltanto un miraggio, la fata morgana che nasconde il vuoto orizzonte e la morte vicina.
Anche la sconfitta di Unità Popolare e la sua esclusione dal Parlamento, rapportata alla futura devastazione, ha un valore relativo.
Tale la prospettiva in cui sono analizzate le cause dell’insuccesso, oggettive ( il poco tempo per prepararsi elettoralmente e per creare un fronte comune , la povertà dei mezzi di propaganda, l’oscuramento massmediatico) e soggettive ( il fatto di essere percepiti come “troppo” o come “troppo poco”, salto nel buio dell’uscita dall’euro, o, al contrario, propaggine di Syriza; il voto utile a Syriza per scongiurare la vittoria delle destre; l’effetto “leader carismatico” , a detta dei vecchi compagni tipica dell’elettorato greco, che questa volta ha favorito Tsipras).
Parecchi interventi sottolineano la vera novità elettorale: l’accresciuto numero delle astensioni: quasi la metà degli aventi diritto non si è recata alle urne: hanno rinunciato a votare i nuovi elettori diciottenni, almeno il 70% dei giovani disoccupati, sicuramente chi aveva visto il voto di gennaio a Syriza e il NO referendario come ultima spiaggia ed ora deluso torna a casa.
“ E’ l’astensione a denunciare l’inadeguatezza della classe politica presente rispetto ai tempi di ferro e fuoco che verranno, lo scippo ai danni del potere popolare, l’ottusa indifferenza dell’acropoli, rispetto alla morte per fame dell’agorà. Ma l’astensione è anche urlo di ribellione, serbatoio di lotte future, senza concedere più deleghe”.
Pur nelle sfumature diverse delle analisi, l’assemblea è unita nell’immaginare un futuro per Unità Popolare. Sono i più giovani a dirlo con le parole più semplici e chiare: “Non dobbiamo sentirci vinti perché non siamo in Parlamento: avremo più tempo è minori condizionamenti per lavorare fuori, attraverso la democrazia diretta, una solidarietà tra oppressi che non sia solo di facciata, ma trovi strumenti concreti di ribellione…”. “Il nostro programma deve rispondere a quale società vogliamo. Per trovare vie d’uscita non possiamo chiuderci in recinti identitari, ma essere compagni di strada a coloro che, senza mediazioni e tatticismi, vogliono davvero un mondo più giusto e vivibile per tutti. Dobbiamo investire sulla rabbia, non per fomentarla, ma per sostanziarla e le si dà sostanza solo con i movimenti….”. ”Contro il memorandum, contro la miseria indotta che ci uccide dobbiamo rompere le società virtuali, smettere di pagare le tasse, i mutui, l’elettricità…Tutti insieme possiamo resistere: i terreni possono essere coltivati, i lavoratori organizzati, i saperi e i beni collettivi salvaguardati, i legami di lotta estesi a tutto il mondo….”.
Dunque il cammino non è finito, e, per affrontarlo, è necessario organizzarsi: ” Organizzarci non solo sui territori, ma sui posti di lavoro, nella terra di nessuno della indigenza e della precarietà. Dobbiamo mettere punto e basta alla nostra disperazione. Certo è presto per prevedere l’intensità e la durata di quel che ci succederà, ma è fondamentale agire subito, darci un programma concreto e praticabile e su questo creare
un fronte, inclusivo, con la memoria del passato e la responsabilità verso il futuro…”.
Prende la parola un anziano, ultraottantenne (al suo arrivo era stato festeggiato da tutti). Non ha analisi da fare, solo una poesia, sua, da leggere. La legge con voce rotta di commozione:
“ Si deve.
Ti hanno dichiarato guerra, operaio.
Nella lotta ìmpari, impàra qualcosa.
Non lasciare lo scudo per terra
la lancia e l’arco, la speranza.
Ti hanno dichiarato la guerra: comincia!
Chiudi le orecchie adesso alla sirena,
a coloro che ti hanno insegnato a tacere
che ti hanno insegnato la pazienza…
Devi vivere, devi vivere
nelle strade della lotta mostrarlo.
Devi arrivare, devi arrivare
plasmare la tua nuova società
Ti hanno dichiarato la guerra,
fai la guerra!
I margini sono stretti ormai per te,
senza dubbio, ma dei tuoi sogni
si riflette la paura nei loro occhi.
Devi vivere, devi vivere
sulle strade della lotta mostrarlo
per plasmare una nuova società.”
C’è un silenzio assorto intorno al vecchio che legge e la sua voce ha il timbro e il pathos degli antichi aedi, ma anche la forza dei poeti incarcerati di Makronissos.
Ecco, questa è la Grecia, questo il suo popolo che, anche nei momenti più bui, sa trovare slanci di poesia, la ca
pacità di rialzarsi e rimettersi in cammino.
Quando, dopo gli abbracci e i saluti per i compagni italiani e per il movimento NO TAV, me ne torno alla mia stanzetta ateniese, la luna splende alta nel cielo rasserenato, e il suo grande volto sorride alla città fattasi silenziosa, ai viali lavati dalla pioggia, ai giardini che profumano di gelsomini…
Sorride anche a me che improvvisamente mi sento leggera, libera da quella che qui chiamano la “melancolia di sinistra”, l’oppressione sorda delle vie senza uscita e dei sogni infranti.
Questa luna la ritroverò domani, lontano da qui, fra le mie montagne. La sentirò parlarmi ancora di questa città che amo. E vorrò ritornare .
Ancora nuvole di pioggia su Atene
Ancora nuvole di pioggia su Atene in questa prima mattina, ma, all’orizzonte, il cielo si fa chiaro e sotto la mia finestra si risveglia la città: rumori di auto, sferragliare dei mezzi di nettezza urbana, le prime voci attraverso le persiane socchiuse di questo alveare umano.
É giunta per me l’ora di tornare alla mia Valle.
Lascio un popolo triste, che aveva immaginato ali d’aquila per spiccare il volo e si è ritrovato con ali di cera, dunque deve ritornare alle consunte scarpe quotidiane per riprendere il cammino. Ma ha provato a volare e il sogno non muore; e quando in un futuro ahimé non lontano il passo quotidiano diventerà impossibile perchè gli saranno tolte scarpe e strada, non si affiderà più ai marchingegni di Dedalo, ma ai possenti abitatori delle montagne
In questi giorni dopo il voto, per capire e immaginare le prospettive, mi sono rivolta a militanti, ma soprattutto a gente comune, operai,
studenti, taxisti, commercianti, disoccupati e pensionati.
Ed ecco quanto mi è parso di cogliere. Con la recente risposta elettorale la gente ha rinunciato al balzo verso l’alto, alla convinzione che fosse il momento dell’assalto al cielo, il NO referendario diceva invece che l’assalto al cielo era possibile.
Certo quel NO coraggioso era isolato, sostenuto in Europa da voci troppo flebili, contrastato duramente non solo dall’ Europa delle banche, ma anche dai governi dei paesi sotto schiaffo che vantavano la propria puntualità nei pagamenti e non volevano “pagare per la Grecia”. Il voto a Syriza è stato il ridimensionamento del viaggio dal mare aperto al piccolo cabotaggio, dal NO Memorandum al COME Memorandum.
Ma la storia non è finita; la buona vecchia talpa non ha rinunciato a scavare e prima o poi sbucherà alla luce.


