Le mie sorelle

Le mie sorelle detenute al carcere di Torino in sciopero della fame contro l’iniquità dell’istituzione carcere e l’invivibilità della detenzione scrivono al Presidente della Repubblica.
Non permettiamo che il loro appello cada nel silenzio!

E’ bello amare e sentirsi amati

Ed è sicuramente per amore che ieri ci siamo messi in viaggio verso Aix Luynes, per abbracciare Emilio uscito dal carcere, ma ancora costretto in Francia dall’obbligo di dimora e dalle firme di controllo settimanali.
Due pullman, varie auto, donne e uomini non solo della Valle, ma venuti da lontano.
Ci siamo ritrovati nel silenzio del primo mattino, col freddo tagliente che annuncia una giornata di sole.
Qualcuno fa una rapida puntata al bar per il primo caffè, altri si sistemano a bordo cercando di ritrovare il tepore del sonno interrotto, ma prima ci sono gli abbracci, la gioia di ritrovarsi, la sistemazione di bandiere, zaini e vettovaglie per un il brindisi che non mancherà, come nei momenti memorabili della lotta.
Alla frontiera di Claviere passiamo senza problemi, dopo poche domande di rito all’autista : “ Tutti
italiani?” “Sì”. “Scopo del viaggio?” “Turismo”. Non so se questa notte altri – non italiani né turisti e con molta meno comodità e fortuna – abbiano cercato di valicare quel confine; se l’hanno fatto, non è stato attraverso la strada asfaltata, ma lungo le impervie vie delle pinete o ai bordi delle piste innevate artificialmente….
Dal finestrino osservo il paesaggio. Il percorso è lo stesso che avevamo fatto in auto , circa un mese fa, per accompagnare la moglie Marinella al primo colloquio con Emilio, ma l’aspetto dei luoghi è mutato. Per la mancanza di precipitazioni tutto appare più polveroso , prati e frutteti assaliti da una grigia aridità, la Durance e, più oltre, il Rodano ridotti a rigagnoli in singolare contrasto con i canali dell’EDF che captano gran parte dell’acqua per convogliarla alle centrali idroelettriche.
Anche i paesi, deposta la scintillante veste natalizia, sembrano più tristi, come rattrappiti.
Affacciati al lago di Embrun , esercizi commerciali chiusi. Su uno scampolo di terra emersa una
minuscola cappelletta e, in mezzo al lago, una vela immobile.
Il viaggio procede rapido nel cuore di una campagna che si allarga fino al lontano orizzonte di alture.
Terre punteggiate di minuscole fattorie con vendita diretta di “fruit et fromage”. Un enorme gregge di pecore. Maneggi di cavalli.

La prima tappa in programma è il carcere in cui Emilio è rimasto detenuto per quasi due mesi.
Intendiamo portare un saluto a coloro che sono stati i suoi compagni.
Troviamo ad attenderci solidali e NO Border di Marsiglia, Helene insieme ai compagni di La France Insoumise e di Attac. C’è anche il coro di La lutte enchantée.
Dal punto soprelevato su cui ci accampiamo con bandiere e impianto audio riusciamo a vedere le celle e un angolo dei cortili interni. Canzoni, interventi, slogan a cui si uniscono voci oltre le mura. Ci rispondono mani e panni sventolati dalle finestre: le grida di libertà volano oltre le sbarre portando in alto l’irriducibilità della speranza.

Emilio ci aspetta poco lontano, insieme a Marinella, Vanessa e Sonia, nel grande spiazzo antistante il cimitero militare nazionale .
Il suo viso buono, il sorriso mite e arguto, la grande figura che ci viene incontro a braccia aperte…. La commozione è grande, davvero un ritrovarsi: in quegli abbracci, nelle battute scherzose c’è tutta la tenerezza della nostra famiglia di lotta.
Da zaini e borse escono bottiglie, dolci. Si brinda alla lotta ed alla speranza di liberazione, concreta, più forte della giustizia ingiusta.
Alle nostre spalle, oltre la cancellata, una distesa di lapidi, tutte uguali, a ricordare l’immenso,
intollerabile massacro che è la guerra.
I folti pini marittimi e i cipressi che ombreggiano il luogo osservano benevoli l’insolita animazione e si prestano a fare da sfondo alle fotografie ed ai filmati che già hanno spiccato il volo e viaggiano per ogni dove, a documentare questa memorabile giornata.
Meno benevolo l’atteggiamento della triade ( due gendarmi in divisa e uno in borghese ) comparsa sulla strada a controllare ostentatamente la nostra allegra brigata.
Ma l’ora avanza inesorabile ed è ormai tempo di ripartire, Emilio verso la casa di Aix messagli a
disposizione da un compagno, noi di ritorno alla nostra Valle che ci aspetta.
L’ultimo saluto ci stringe il cuore.
Mentre i pullman si muovono lasciando sul piazzale una figura solitaria che si fa sempre più piccola e lontana, mi irrompono in mente, all’improvviso chiari e vivi, i versi di Dante:
“ Era già l’ora che volge il disio
ai navicanti e ‘ntenerisce il core
lo dì che han detto ai dolci amici addio
e che lo novo peregrin d’amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more”
Saranno loro ad accompagnarmi per tutto il viaggio, come un ostinato ritornello, voce del tramonto che si spegne negli stagni e della sera che accende i lumi delle case sperdute in una campagna che si fa immensa.
L’ultima tappa prima del rientro è una Briancon gelida e deserta, surreale nella luminaria delle vie, dei ristoranti scintillanti e vuoti.
Poi il transito in frontiera (ma chissà se in questa notte glaciale, confidando nella luce di una luna
insolitamente piccola, qualche disperato migrante cercherà di passare il confine….).
Ed ecco l’Alta Valle, la visione fugace del cantiere TAV in Clarea…
Infine Bussoleno, la piazza del mercato, gli ultimi saluti….
Ed è già ricordo, malinconia.
Ma domani ricomincia la lotta, “l’amor che move il sole e l’altre stelle” .

Viaggio notturno verso il carcere di Aix Luynes

Poche immagini ci restano del lungo viaggio notturno verso il carcere di Aix Luynes per accompagnare Marinella al primo colloquio con Emilio, detenuto da ormai oltre un mese.
Un cielo di stelle sfolgoranti nel gelo, il fascio di luce dell’auto che fa emergere via via gli scampoli di un paesaggio improvvisamente irriconoscibile. Poi la frontiera, col posto di blocco illuminato e deserto, il biancore indistinto della neve sui campi di sci di Montgenèvre.

Procediamo come in un nero tunnel, interrotto dal passaggio nei paesi addormentati, come surreali, vuoti lunapark, scintillanti ancora delle luci natalizie ( mi riaffiora nel ricordo l’immagine fuggevole di una piccola giostra incappucciata di bianco e oro, come un ninnolo di porcellana o una torta di zucchero glassato).
Sonia guida attenta al reticolo di strade che il “navigatore” districa a poco a poco sullo schermo del tablet. Il traffico è inesistente, solo qualche raro furgone, di quelli che, stanno progressivamente sostituendo i TIR e viaggiano da lontano a lontano senza limiti di tempo né di velocità né garanzie contrattuali e di sicurezza.
Si può intuire il cambio di paesaggio e l’allargarsi delle vallate dai lumi che segnano un orizzonte sempre più lontano, mentre i cartelli stradali ci parlano della Provenza che si avvicina e della valle della Durance . Nei pressi di Gap imbocchiamo l’autostrada ( modestissima e ad impatto quasi zero rispetto alle cattedrali d’asfalto che deturpano e inquinano valli e pianure del nostro paese ), poi la superstrada che arriva ad Aix en Provence.

Il carcere è ad Aix Luynes, isolato, in mezzo alla campagna buia. Ci arriviamo alle sei. E’ ancora notte fonda: l’alba tarda a sorgere su questo luogo di pena.
Ci troviamo di fronte all’improvviso un piatto quadrilatero militare, circondato da parcheggi, protetto da vari ordini di reti che delimitano la “terra di nessuno” e chiuso infine dalle mura illuminate a giorno.
Nei piazzali , auto coperte di brina gelata, la stessa che scrocchia sotto i nostri passi mentre ci avviciniamo alla fortezza.
Marinella, come sempre materna, si è preoccupata di portare la colazione per tutti (siamo in otto, anche i giovani hanno voluto essere presenti). Mentre versa il caffè, non riesce a nascondere il tremore delle mani, evidentemente non solo per il freddo… Da quasi un mese e mezzo non vede Emilio e non ha più potuto parlargli, neppure per telefono. Anche questa visita non le è stata concessa facilmente.

Si fa giorno quando troviamo finalmente l’ingresso giusto.
Alle sette e trenta ha inizio la trafila autorizzativa. Compilazione moduli, deposito pacchi da consegnare, poi comincia l’attesa della chiamata. Tutto è gestito da due volontarie gentili, mentre i secondini fanno l’appello e accompagnano i familiari al padiglione colloqui.
Ed ecco, è l’ora: “Emilio Scalzo!”. Tra poco si rivedranno. Erano state chieste due ore di colloquio, ma a quanto pare ne è stata autorizzata una sola.
Intanto la sala d’attesa si è riempita di figure dimesse, silenziose. Sono soprattutto donne e bambini, tante magrebine. Entrano a testa bassa, siedono ad aspettare il loro turno con la rassegnazione della normalità. Tante storie sommerse, incomunicabili, una pesante tristezza che coinvolge pure i bambini, intimiditi, aggrappati alle madri.

Siamo in cortile insieme a due attivisti di La France Insoumise che sono venuti a offrirci aiuto e ospitalità, quando vediamo uscire Marinella. E’ passata poco più di un’ora, negato il colloquio lungo; troppo poco tempo per dire tutto, portare tutti i saluti.
Mentre ci racconta, non riesce a nascondere gli occhi lucidi, ma si preoccupa di rassicurarci e di rassicurare se stessa: Emilio sta bene, ha trovato tanti amici (i più giovani lo chiamano “tonton Emiliò”, zio Emilio); lo raggiunge quotidianamente un mare di lettere dalle persone e dai luoghi più inaspettati, portandogli la voce di chi gli vuole bene e lotta per la sua liberazione; anche nella piccola cella che condivide con un giovane compagno vive la serenità dell’uomo buono; li stessi guardiani sono sopportabili, per chi li sa prendere per il verso giusto.
E’ la repressione morbida in apparenza, ma intimamente ferrea, implacabile, della “giustizia” francese, la stessa che il potere impone sempre e dappertutto…..

Ed eccoci ormai sulla via del ritorno. Dov’era notte ora ride un pomeriggio di sole e di colori che sembrano già primavera. Il paesaggio di dolci declivi si alterna a pareti intagliate in preistorici depositi calcarei. Intorno è una festa di paesini con case color ocra raccolte intorno ad antichi campanili e, sulle alture, borghi fortificati, castelli che ricordano storie di eretici e trovatori.
Dopo il lago di Embrun dalle sponde per lunghi tratti selvagge, viaggiamo in mezzo a vigne e a meleti,: sono le terre del vino e del sidro. E ancora case, e paesi che aprono al viaggiatore la meraviglia delle loro piccole botteghe, delle piazzette alberate.

Ma le Alpi sono sempre più vicine, immani, cariche di neve, all’apparenza invalicabili.
Da Briancon la strada si inerpica verso la frontiera, fra le pinete tagliate dalle piste da sci. E’ questo il paradiso degli sciatori e l’inferno dei migranti. Quei pendii percorsi con eleganza dagli sportivi con gli sci ai piedi restituiranno a primavera le povere cose e forse i corpi delle donne e degli uomini travolti sull’ingannevole cammino della speranza. Per loro si è battuto Emilio e questo sta pagando, recluso per reato di solidarietà.

Siamo ormai in Valle, dove ogni luogo che incontriamo ci parla di lotta e di repressione. Claviere e l’occupazione di Chez Jesus. Oulx e la Casa cantoniera occupata, Chiomonte e la Libera Repubblica della Maddalena. L’autoporto di Susa e l’opposizione alle prime trivellazioni per il TAV. Bussoleno, la casa di Emilio con i murales in cui si narra la trappola immane della Giustizia e la voracità di un sistema che sta devastando gentilezza, bellezza, vita..
Amore e rabbia si mescolano alla stanchezza, mentre finisce questa giornata carica di emozioni.
Ma i volti sorridenti, lo sguardo sincero dei nostri ragazzi ci dicono che il sogno di liberazione non è finito, che la lotta continua.