Espropri, oggi è toccato a me.

Mi è pesante ricordare, perché prevalgono la rabbia sorda, il senso di frustrazione. Anche questo dovranno pagare.
Centinaia di armati sparsi ovunque; “in mano nemica” il ponte sulla Dora, che immette al cancello della centrale . Cancelli e poi ancora cancelli, divise di tutte le fogge, mezzi blindati.
In cantiere si entra solo in pullmino, sui terreni oggetto di esproprio si arriva solo scortati.

Lì comincia la pena unica, la più vera, ti assalgono i ricordi di una lunga resistenza.
Ripenso ad una notte di neve improvvisa, trascorsa al riparo della” bailatta” di cui nulla resta, se non una labile traccia sul terreno. E non è rimasta traccia del “bruco”, l’installazione realizzata da un giovane architetto grazie al lungo, paziente lavoro dei “Pintoni attivi”.

E’ questo l’ultimo angolo di un paesaggio che non c’è più, cancellato dal cantiere TAV; luoghi difesi metro per metro con una lunga resistenza, avvelenata dai lacrimogeni, travolta a suon di ruspe, manganelli e tribunali…

Eppure anche qui, fiduciosa, ignara dei tempi che si preparano, fiorisce la primavera. Le brevi radure sono un tripudio di primule; su betulle, ciliegi, castagni si scorgono le prime gemme. La piccola immagine, davanti a cui pregavano i cattolici della valle, ha un ingenuo, soave volto di fanciulla. E intorno i merli intessono canti d’amore e di speranza.

Mentre mi allontano, scortata da tecnici e poliziotti, mi pesa addosso un senso di vile impotenza, come nell’abbandono di una persona cara…. No, non può, non deve finire così.